Mi trovo nella celebre “Allée des baobabs” del Madagascar, una delle vie più fotografate al mondo. Un paesaggio unico in cui grandi alberi dritti che sembrano piantati al contrario, circondano e incorniciano una lunga via africana creando un effetto magico e suggestivo. Alberi centenari, se non addirittura millenari che hanno ispirato miti e credenze. I più ‘anziani’ sono considerati sacri, e per questo ricevono preghiere, doni e canti. Piccole o grandi attenzioni che li rendono ancora più speciali.
Non sono sola, molte persone si sono radunate in fondo alla via per immortalare il magico momento in cui il grande sole africano si tufferà nell’orizzonte. L’ora migliore per fotografare i Baobab è quasi giunta. Decido di gustarmi questo momento in solitudine, lontano da voci, risate e fastidiosi click. Mi allontano e scelgo un posto tutto mio. Mi guardo attorno, evidentemente ho scelto un luogo poco appetibile per i fotografi perché attorno a me non c’è proprio nessuno. Un unico rumore giunge alle mie spalle: un gruppetto di anatre che sguazzano felici nell’acqua di in una palude ricca di ninfee in fiore. E’ piacevole sentirle giocare. In mano ho il mio semplice iPhone, 1% di carica. Chissà se riuscirò a fare una foto, penso. Ma non è importante. Voglio gustarmelo, questo momento. Undici anni che vengo in Madagascar, e questa è la prima volta che ho la fortuna di vedere la famosa via dei Baobab…
Il sole inizia la sua discesa. Quasi toglie il fiato. Man mano che tramonta diventa più grande, i suoi colori più caldi, e le ombre si allungano… Improvvisamente un ragazzo malgascio passeggia non curante nella via davanti alla scena che stavo rimirando. Si ferma proprio nel bel mezzo. Un fotografo si sarebbe spostato, ma a me piace vederlo lì. Lo osservo curiosa. Dista da me un centinaio di metri. Non si cura di me e non sembra nemmeno interessato al sole che tramonta, probabilmente questo paesaggio gli appartiene perché è qui che abita. No, non si è accorto di me. Passeggia avanti e indietro come se stesse aspettando qualcuno, e intanto il sole scende. Si ferma nuovamente. Quasi non me ne accorgo, ma prendo il telefono in mano e scatto tre foto di seguito, poi il telefono si spegne, non faccio nemmeno in tempo a riguardare le immagini. Torno a fissare il sole che sta ancora scendendo… Due minuti, forse tre, e poi scompare alla vista. Persino le anatre sono ora immobili. Che bel sapore che ha questo momento…
Poco tempo dopo sento ritornare la folla di fotografi, trotterellano felici confrontando emozioni e display di fotocamere. Il mio gruppo mi raggiunge e sospirando mi allontano con loro. Sono alla fine del mio viaggio e già sento la nostalgia arrivare.
Appena giungo in albergo metto in carica il telefono. Lo riaccendo e non posso credere ai miei occhi. Le tre foto che ho scattato mi commuovono, una in particolare. Osservandola mi torna in mente una conversazione di qualche giorno prima avvenuta con uno spiacevole individuo, un franco-tedesco proprietario di un ristorante situato in una nota città portuale dell’isola.
Come molti stranieri che si sono insediati qui, ha sposato una giovane donna malgascia, con lei condivide anche un figlioletto di 1 anno… eppure mi ha parlato con disprezzo di questo popolo. Mi ha recitato alcuni discorsi che ho sentito narrare molte volte da uomini d’affari come lui. Mi ha ripetuto varie volte come la stupida ‘fierté malgache’ sarebbe stata la rovina dei malgasci, così orgogliosi e radicati nelle loro antiche tradizioni da non riuscire ad evolvere. Secondo lui, da quando il colonialismo è finito e i francesi se ne sono andati, questo paese non ha fatto altro che peggiorare. Un paese in rovina che non ha l’intelligenza necessaria per svilupparsi e arricchirsi. Si è infervorato e poi, visto che non gli ho dato corda, ha incalzato raccontandomi che una settimana prima una delegazione di cinesi era venuta in visita per incontrare il Presidente malgascio e proporgli una strategia agricola intensiva per triplicare il raccolto di riso, e ha concluso dicendomi che quell’ingrato stupido maiale aveva rifiutato.
Pare che il presidente sia rimasto in ascolto paziente e che poi, cortesemente e dopo un ampio sorriso, abbia riferito ai cinesi che, nonostante il progetto fosse molto allettante, il popolo malgascio avrebbe continuato a coltivare il riso secondo la tradizione. Ha spiegato loro che nella sua terra si coltivava il riso da più di 2000 anni, sempre con lo stesso metodo messo a punto dai loro saggi antenati, un metodo in cui uomo, aratro e zebù lavorano fianco a fianco. “Nel frattempo gli zebù si nutrono delle erbe intorno al campo e concimano naturalmente”, ha spiegato ai cinesi. Secondo il Presidente questo è il migliore metodo possibile, perché sono i saggi antenati ad averlo inventato, e dunque sempre con lo stesso metodo avrebbero continuato, con orgoglio. La delegazione cinese è ripartita il giorno dopo. Il franco-tedesco ha concluso il suo racconto con una smorfia schifata, poi fortunatamente è stato chiamato da un suo ‘servitore’ e si è allontanato.
Poco male, perché non sono riuscita a trattenere un ampio sorriso e un moto di orgoglio. Mi sono sentita fiera di un popolo che nonostante la povertà ha detto di no all’agricoltura intensiva. Gli effetti devastanti delle colture invasive si stanno osservando ovunque nel mondo, ed è nei paesi in via di sviluppo che le multinazionali si stanno concentrando facendo affari da miliardi di euro, ma il Madagascar ha detto no!!! La maggior parte della gente osserva tanta ‘arretratezza’ scuotendo il capo, eppure sono molte le persone che stanno scegliendo di tornare alle vecchie tradizioni agricole, rinunciando all’uso di sostanze chimiche di vario genere che hanno avvelenato e impoverito la terra. Consapevolmente o inconsapevolmente, il popolo malgascio ha detto ‘no’, e questo rappresenta uno di quei rari casi in cui la saggia tradizione, almeno per il momento, ha vinto sulla cieca innovazione.
Osservo questa foto e ripenso a tutto questo. I Baobab, dritti e fieri, e così anche l’uomo fra di loro… E poi il sole, ad illuminare questa danza immobile e orgogliosa. Non solo rivedo, ma sento la ‘fierté malgache’ in questa immagine, e silenziosamente ringrazio il misterioso ragazzo che ha posato per me senza saperlo…