Coltivata sin dall’antichità per le sue radici che diventano zuccherine in inverno, quando il freddo e il gelo trasformano parte del suo amido in zuccheri. E una pianta biennale, ossia il primo hanno sviluppa le foglie, e soltanto il secondo anno le energie accumulate a livello delle radici vengono utilizzate per accrescere stelo, fiori e frutti. Per questa ragione si consiglia di consumare la radice alla fine del primo anno; vi avviso però, è un lavoro duro e il raccolto non è particolarmente abbondante perché la radice della pianta selvatica è decisamente più snella e piccola della variante coltivata. Ma le foglie, seppur meno utilizzate a scopi culinari, sono altrettanto interessanti e una delizia per il palato.
Le foglie e la radici hanno un sapore che ricorda molto la carota, ma con note più dolci. I segmenti delle foglie sono assai grandi e i fiori sono ombrelli eleganti composti da fiori giallastri.
È diffusa allo stato selvatico negli incolti, come pure negli orti.
Le radici vanno lessate e donano un delicato aroma di carota ai piatti. Si sposano molto bene con le patate. Le foglie possono ugualmente aromatizzare vellutate, purée di patate o cereali. Essendo fibrose, le foglie vanno consumate cotte e possono essere raccolte da marzo a settembre. Anche i frutti sono commestibili e, raccolti alla fine dell’estate, sono sfiziosi se impiegati nella preparazione di biscotti salati o aggiunti all’impasto della pasta brisée.
E’ una pianta diuretica che stimola la produzione di bile.
Il nome deriva dal latino pastus, che significa nutrire. Greci e Romani la utilizzavano più a scopi curativi che alimentari. Probabilmente a causa della sua forma simile alla carota, la radice era considerata un potente afrodisiaco in grado contrastare l’impotenza maschile.