“Madagascar”… ogni volta che sento pronunciare questo nome mi accendo dentro e fuori. Gli occhi mi brillano e un sorriso compare, subito seguito da un sospiro… quanto mi manca quest’isola quando sono lontana, e quanto sono felice quando vi faccio ritorno!
“Un’omelette mal rivoltata piena di cose ghiotte”, così definisce il Madagascar Gerald Durrell, famoso zoologo affetto come me da “Madagascarite”. E’ una terra dalle infinite bellezze in cui tutto è diverso e unico. Quasi tutte le piante e gli animali che popolano l’isola esistono qui e soltanto qui, come risultato di processi evolutivi fantasiosi in cui ambienti e forme viventi si sono plasmati a vicenda creando un caleidoscopio biologico di rara bellezza. In Africa esiste una sola specie di baobab, in Madagascar sette. Qui non si vedono elefanti, giraffe o leoni, in compenso lemuri e camaleonti fanno da padroni, a braccetto con più di 200 specie di rane multicolori, tutte endemiche. E sempre e solo qui è possibile incontrare il Fossa o lo strano Aye aye, un lemure notturno talmente strano da rendere molto accese le discussioni fra i più famosi zoologi… inizialmente fu classificato come una specie di scoiattolo gigante, infine optarono per un primate. E le foreste… verdi, piovose e rigogliose alcune, altre secche e costellate di spine. Persino qui i lemuri sono di casa ed è fantastico osservarli saltellare sulle spine con grazia ed eleganza, al pari di ballerini professionisti.
E poi i sorrisi dei malgasci… mai conosciuta gente più cordiale e accogliente che vive in armonia nonostante le diversità. Alcuni anni fa ho avuto la fortuna di portare un gruppo di studenti in gita. Abbiamo campeggiato per una settimana in una foresta per esplorare la biodiversità del parco. Il gruppo era un arcobaleno di fisionomie. Almeno 6 o 7 delle 18 tribù esistenti in Madagascar erano rappresentate nella mia classe. Alcuni ragazzi erano nerissimi, altri color caffé e latte. Naso a punta per alcuni, a patata per altri. Occhi rotondi e grandi per quelli del sud, a mandorla per quelli del centro e color nocciola per quelli dell’nord-est. Vi erano cattolici, protestanti, animisti e musulmani… Insieme formavamo un gruppo unito e affiatato. Mi ricordo che eravamo in periodo di Ramadan, e si aspettava svegli la mezzanotte per scaldare il cibo all’unico musulmano del gruppo e tenergli compagnia mentre mangiava… Bellissimo.
Da due giorni ho lasciato il Madagascar, e già mi manca moltissimo. Questa sera, mentre preparavo un “rhum arrangé” ai litchis (specialità locale che vi consiglio di provare almeno una volta nella vita), pensavo a tutti i bei momenti che ho vissuto in 10 anni di Madagascar, alle persone care che ho incontrato, che ritrovo ogni volta che vado e che mi fanno sentire a casa. Pensavo a Fano, mio carissimo amico che per fare lo splendido mi invitò fuori a cena e che a fine pasto mi confessò che la cena era gratis perché già pagata da un suo cliente affetto da una diarrea del viaggiatore fulminante. Pensavo a Mamatin, la mia mamma malgascia con cui ho vissuto momenti bellissimi e al nostro incredibile viaggio di due giorni a piedi, percorrendo le rotaie di un’antica ferrovia alla ricerca della mamma perduta di una ragazzina del villaggio… Pensavo a Vololona, una fanciulla timidissima che non aveva mai osato avvicinarsi a me e che un giorno, vedendomi triste, mi donò un fiore. Pensavo alla casetta di terra in cui ho abitato alcuni mesi, condividendo il mio alloggio con un topolino dispettoso che la sera usciva dalla tana per rosicchiarmi lo zaino e i vestiti. Riuscii ad addomesticarlo quel topolino, e fu così che prese a cenare vicino a me, io con una zuppa calda e lui con le fette biscottate. Pensavo anche ad un Natale passato nel piccolo villaggio di Andreba, al sole e al vento di un giornata meravigliosa e ai bambini che ridevano e correvano felici in cima ad una collina, io ero lì con loro…
Adesso capirete meglio forse, perché sono irrimediabilmente affetta da una rara forma di Madagascarite, e il bello è che non voglio guarirne! Anzi…